Cè una domanda che non trova risposta. Perché in Italia ogni tre giorni una donna viene uccisa da un marito, un fidanzato, spesso compagni o ex compagni di anni di vita, padri di figli cresciuti insieme? «Come si fa ad ammazzare una ragazza per un litigio?», chiedeva il papà di Vanessa Scialfa, la giovane di Enna vittima a primavera, appena ventenne, del suo convivente. E cè una seconda domanda che ci disorienta. Perché una donna adulta, libera al primo spintone, o anche alle prime parole selvagge, non allontana da sé per sempre luomo che la sta minacciando? Gli resta invece accanto, preferisce ripetersi «non sta succedendo a me» e prepararsi il giorno dopo a dire ai figli poi ai colleghi, agli amici che non è niente, che ha di nuovo sbattuto contro la porta.La verità è che qualcosa esplode nella coppia e brucia lamore, lo capovolge, lo profana fino allestremo. Rivela che quella relazione non era fondata sulla meraviglia e sulla cura luno dellaltra; ma sulla costante, radicale pretesa di assimilazione e di possesso da parte delluomo sulla donna. Il potere maschile resta intrecciato allordine sociale e continua a lavorare «nelloscurità dei corpi»: squilibra i rapporti e i ruoli, presidia la cultura e il linguaggio, cerca di riaffermarsi nelle scuole e nelle famiglie.La «violenza domestica» quella subita dagli uomini di casa, anche padri o fratelli è la prima causa di morte nel mondo per le donne tra i 16 e i 44 anni: più degli incidenti stradali, più delle malattie. Per questo dobbiamo subito liberarci dellidea del mostro, o di tanti mostri, dobbiamo sottrarci a quella reazione immediata che ci porta a dire: io non sono così, noi siamo normali. La violenza sulle donne, che in alcuni casi si spinge fino allomicidio definito per la prima volta «femminicidio» da una sentenza del 2009, non è una collezione di fatti privati: è una tragedia che parla a tutti. Soprattutto, che riguarda tutti gli uomini.Ora noi sappiamo che non sarà un appello, una nuova Carta dei diritti, non saranno uno spettacolo, un documentario, uninchiesta o un libro a fermare la strage delle donne; neanche le migliori leggi pur necessarie basteranno.Eppure parlarne, scrivere, raccontare le storie, trovarsi numerosi in questa domenica di fine novembre, muoversi insieme, donne e uomini, andare nei teatri o nelle strade con un pensiero comune anti-violenza: tutto questo è un passo importante per capire. E capirci qualcosa aiuta noi a superare quel senso di turbata estraneità che ci prende davanti ai fatti di cronaca e aiuta magari le vittime, almeno alcune tra loro, a scuotersi e salvarsi in tempo. Oggi la Convenzione «No More!» che nelle ultime settimane ha raccolto migliaia di adesioni tra organizzazioni e persone molto diverse tra loro sarà portata nelle piazze. E il punto di arrivo di un impegno civile diffuso che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha riconosciuto e incoraggiato. In questa giornata, sarebbe già un conforto poter pensare che il silenzio è rotto. Femminicidio non è una bella parola, è vero, ma stiamo imparando a pronunciarla per dare finalmente un nome, che suona antico e non lo è affatto, alluccisione delle donne perché donne.E cè unultima possibile riflessione: sulle quote di genere sulla legge che impone un equilibrio nella rappresentanza di maschi e femmine ai vertici delle aziende si può essere più o meno daccordo (noi lo siamo), ma è difficile negare come durante quel lungo viaggio verso lapprovazione si sia visto in Italia un lavoro di lobbying al femminile che ha funzionato. In questa seconda parte del 2012, sul tema della violenza, sembra essersi generato un movimento simile di associazioni, gruppi di studiose e di artiste, rappresentanti della politica, della magistratura, dei media. Un movimento di donne che è trasversale, eterogeneo tanto da tirare lelastico al massimo da sinistra a destra e tuttavia molto compatto. E una lobby moderna e anomala perché non dispone di grandi fondi, ma è in grado di investire uno straordinario capitale di tempo e di energie. È una novità importante. Chissà che da unepoca di cambiamenti, troppo lenti e spesso contradditori per le donne italiane, non si stia approdando a un cambiamento depoca