Casamarciano – Consenso di pubblico e di critica per La compagnia Il Pomodoro di Bologna che ha presentato “Tre sull’altalena” di Luigi Lunari per la regia di Matteo Cotugno. Lo stesso regista della compagnia ha annunciato che con questo testo saranno presenti ad un considerevole appuntamento nell’ambito teatrale, in un importante festival che si terrà a Francoforte. Luigi Lunari scrisse questa commedia nel 1989 ; un drammaturgo, storico e saggista. Da precisare nell’abito delle curiosità che la commedia fu fatta circolare in Italia come opera di tale Alan Bond, intitolata “Three Men without a Boat”. Solo così si riuscì a vincere una non meglio precisata tradizionale ostilità dei teatranti italiani. Un opera che è, in effetti, un grande successo internazionale: tradotta in 24 lingue è stata rappresentata ovunque. L’autore si interessò, sia pure a livello divulgativo, di fisica, di astronomia, di logica formale, di psicanalisi, di biologia, ed altro. Con il precisarsi dei suoi interessi verso il teatro, nel 1960 entrò a far parte del Piccolo Teatro di Milano, incaricato di un Ufficio Studi in cui raccolse una raccolta di riviste teatrali. Al Piccolo Teatro di Milano rimarrà, con crescenti responsabilità, collaborando con Giorgio Strehler, per il quale tradusse vari testi di William Shakespeare, Bertolt Brecht, Anton Pavlovič Čechov. Nella sua intensa esperienza, Lunari fu attento testimone della grande evoluzione che il teatro affrontò nella seconda metà del secolo scorso. In tre sull’altalena, come afferma lo stesso autore, “ le battute si succedono all’inizio con una gratuità che proprio per questo le sottrae ad ogni giudizio di merito e di convenienza ma che a poco a poco si intravedono sul terreno di una tematica che non avendo alcuna funzione pratica, non può che averne una assoluta. I personaggi non hanno assolutamente nulla da dirsi, i soli temi di cui si può discutere sono “ i temi fondamentali dell’esistenza” : vita e morte, libertà e costrizione, scienza e mistero, ragione e fede…”Ecco spiegata la scenografia essenziale per rappresentare il “non luogo”. È protagonista la parola e si toccano i temi fondamentali dell’esistenza. Un luogo scenico senza tempo e spazio dove ogni logica razionale salta, dove il logico è più che mai messo da parte. In tali condizioni è il mistero a far da padrone. Tre personaggi, un professore, un capitano dell’esercito in pensione, un distinto signore andato lì per un incontro galante, hanno un appuntamento e si ritrovano sullo stesso luogo, con tre indirizzi diversi. Si suppone allora un edificio che abbia tre entrate. Ma il mistero predomina, tra altro, vi è in scena un frigo nel quale si trovano bevande che compaiono a seconda delle necessità degli smarriti protagonisti. E ancore porte che ora sembrano sbarrate ora si aprono solo per uno di loro. La lista continua con un elenco telefonico di Singapore poggiato su un tavolino con a fianco il telefono che non funziona ovviamente; pare che ci sia un esercitazione di allarme che duri tutta la notte. In tal elenco telefonico ci sono tanti nomi, ovviamente, ma il fatto eclatante e misterioso che ci sono anche i loro nomi! I personaggi confusi vedono i loro nomi come scritti, non più su un elenco, ma su di una sorta di libro della vita. Quando nella mattinata di una lunga notte di tormento e ansia per i protagonisti, arriva la donna delle pulizia ai tre personaggi sembra l’entrata in scena di un personaggio misterioso venuto lì per giudicarli e pur sempre imbarazzati cercano di capirne l’identità precisa. Tutto sembra svanire, alla chiusura di un ipotetico sipario, nell’epilogo; ma i tre troveranno il portone d’ingresso sbarrato e si ritroveranno nell’ennesima stanza divenuta di nuovo motivo d’incubo non disgiunta da una lievissima vena di comicità, di nuovo una sorta di anticamera dell’aldilà in attesa di giudizio: il mistero continua! Meritano citazione i protagonisti della scena: Maria Luisa Swievczewski, Alessando Calò, Gianluca Lai, e il fine nel ruolo del capitano dell’esercito e dei servi segreti, Matteo Cotugno, regista della compagnia.
Antonio Romano