La Chiesa di Nola è sempre stata attenta alle dinamiche sociali del territorio e per il passato ha dato il suo fattivo contributo perché lo stabilimento di Pomigliano dArco non chiudesse. Il vescovo, mons. Beniamino Depalma, insieme a tutta la comunità diocesana, condivide, in questo momento di difficoltà e di incertezza, le preoccupazioni dei lavoratori della Fiat e delle loro famiglie. Lo stesso Pastore aveva sollecitato, in più occasioni, il Presidente della Repubblica e il dott. Marchionne a prendere in seria considerazione il dramma di tanti uomini e donne, per evitare una vera sciagura sociale.
Attualmente, dopo le recenti e preoccupanti dichiarazioni dellAzienda Fiat, si sta creando, ancora una volta, un clima di agitazione, di inquietudine, di ansia per il futuro. È vero che ci sono problemi legati alla crisi economica, al mercato e alla globalizzazione delleconomia. Ma è pur vero che non devono essere sempre e solo i lavoratori a pagare scelte che rispondono solo a logiche di un liberismo selvaggio che sacrifica le persone e le loro famiglie allidolo del denaro e della massimizzazione del profitto. Questo tempo di crisi non può non essere tempo di solidarietà, tempo di condivisione, da parte di tutti. Anche dellAzienda Fiat.
La Chiesa nel suo Magistero sociale ricorda a tutti che nel rapporto tra capitale e lavoro è luomo il centro di tutto il processo economico e che i mezzi di produzione non possono essere posseduti per possedere, perché lunico titolo legittimo al loro possesso è che essi servano al lavoro (Giovanni Paolo II, Laborem exercens). Eppure tanti lavoratori, oggi, vivono una condizione di vita precaria, vivono in balia dellincertezza sul futuro proprio e delle proprie famiglie: nessuno può giocare con il diritto al lavoro, nessuno può giocare con la vita delle persone.
La Chiesa riconosce la giusta funzione del profitto, come indicatore del buon andamento dell’azienda. Tuttavia, il profitto non è l’unico indice delle condizioni dell’azienda. È possibile che i conti economici siano in ordine ed insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso dell’azienda, siano umiliati e offesi nella loro dignità. Oltre ad essere moralmente inammissibile, ciò non può non avere in prospettiva riflessi negativi anche per l’efficienza economica dell’azienda. Scopo dell’impresa, infatti, non è semplicemente la produzione del profitto, bensì l’esistenza stessa dell’impresa come comunità di uomini che, in diverso modo, perseguono il soddisfacimento dei loro fondamentali bisogni e costituiscono un particolare gruppo al servizio dell’intera società. Il profitto è un regolatore della vita dell’azienda, ma non è l’unico; ad esso va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che, a lungo periodo, sono almeno egualmente essenziali per la vita dell’impresa. (Giovanni Paolo II, Centesimus Annus).