Ecco un articolo pubblicato da Republica il 3 ottobre 2018
La famiglia di immigrati risiede a Sant’Arpino, in provincia di Caserta. Le condizioni della donna non destano alcuna preoccupazione, mentre il bimbo è stato ricoverato inizialmente in terapia intensiva: grazie alle cure le sue condizioni sono migliorate, per lui la prognosi resta riservata ma i medici sono ottimisti sul decorso. Al Cotugno è ricoverato in osservazione anche un fratellino del piccolo paziente, di quattro anni, che secondo le prime analisi non avrebbe contratto il colera ma ha presentato alcuni sintomi che spingono i medici a trattenerlo in ospedale.
“I contatti familiari sono stati individuati e sono ora sotto stretta osservazione sanitaria”, assicura il commissario straordinario dell’azienda ospedaliera, Antonio Giordano. Il vibrione del colera è stato isolato nelle feci dei due pazienti; i campioni sono stati inviati anche all’Iss, per ulteriori analisi e la caratterizzazione dei ceppi. Spiega Gianni Rezza, del Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità: “Questi due casi non fanno paura e non rappresentano un problema. Importante è l’isolamento in ospedale dei due pazienti e rintracciare le persone che potrebbero aver avuto contatti stretti con loro. Diverso sarebbe stato se si fosse trattato di una malattia a trasmissione aerea”. Infatti il colera si contrae per ingestione di acqua o alimenti contaminati dal batterio, oppure per trasmissione oro-fecale.
Sono poche decine l’anno e tutti importati i casi di colera registrati nell’Ue negli ultimi anni, mentre in Italia l’ultimo paziente conosciuto risale al 2008, un uomo di ritorno dall’Egitto. In Italia l’ultima importante epidemia di colera risale al 1973 in Campania e Puglia, con 277 casi accertati, 24 morti a Napoli e 9 in Puglia. Nel 1994 si è verificata a lla che arriva daBari un’epidemia di limitate proporzioni, in cui sono stati segnalati .